Un pomeriggio speciale alla cerca di un capriolo di un anno tra radure e pini mughi sul monte Roen, in Val di Non, Trentino. Concluso con un tiro rubato al crepuscolo più inoltrato, quando l’ottica ha mostrato all’incredulo cacciatore il suo straordinario valore. E un recupero con la pila nel labirinto magico dei pini mughi, che già fa perdere ogni riferimento di giorno…
Il pomeriggio è speciale perché speciali sono il momento della vita, la compagnia, l’atmosfera della giornata, i suoni e i colori della montagna in questo periodo dell’anno.
Il 2017 mi ha regalato la felicità sublime del primo figlio. Stare il più possibile con la mia famiglia mi viene naturale, e questa del 28 settembre è la prima uscita a caccia di quest’anno sulla mia montagna. Con me c’è mio padre, che ha quasi il doppio delle mie licenze, e anche se nella mente mi sento ancora un diciottenne ho superato pure io le 25. Le mie gambe in realtà lo sanno… E’ lui che fin da piccolo mi ha mostrato il monte Roen, quando vedere un’orma o un fregone di cervo era una rarità da raccontare e tre camosci insieme rappresentavano un branco degno di nota. Negli anni ottanta i caprioli dominavano le allora più ampie radure tra i mughi, e nei boschi più in basso era ancora cosa piuttosto frequente sussultare per l’involo improvviso di un gallo cedrone, che a volte quando parte (solo quando parte, poi vien da chiedersi come possa portare in volo il suo fisico da tacchino con tanta leggiadria) tra i cespugli mi ricorda nella grazia un comodino che prende una robusta pedata.
Andare a caccia col papà è semplicemente speciale, chi lo ha fatto sa cosa intendo.
In più ci si mette l’inizio dell’autunno in un pomeriggio senza aria, né caldo nè freddo, con gli ultimi funghi e nel bosco gli ontani che virano al rosso e i larici al giallo in uno spettacolo di colori che sta per toccare il suo culmine, prima di lasciare di nuovo tutta la scena al verde eterno di abeti e mughi. È fine settembre e l’attesa dei sensi è maggiore perchè puoi aspettarti di sentire il bramito, soprattutto se dove finisce la strada al parcheggio della malga -lasciata dal malgaro e dalle sue 300 vacche come sempre ai primi di settembre- non ci sono auto di colleghi cacciatori, garanzia che non ci sarà nessuno nemmeno vicino a dove abbiamo deciso di andare noi. La solitudine in montagna, a caccia, ha un gusto ricchissimo, misto di piacere di cercare il tuo animale con calma e di pace assoluta. A fine settembre poi, è particolarmente amica del silenzio, in tutto il pomeriggio rotto soltanto da un allegro volo di crocieri in salita che si annuncia fino dal fondo della valle, da qualche cincia dal ciuffo che saltella cinguettando tra i mughi, dallo schiamazzo brutale di un picchio nero che se non si sapesse che è lui si potrebbe pensare a un mostro, e a tramonto ormai consumato dal saluto alla notte della civetta nana, immancabile consuetudine ad ogni calare e sorgere del sole.
E oggi non manca nemmeno il bramito, sul Roèn merce relativamente rara, uno più acuto del giovane che riusciamo perfino a vedere e fotografare sul crinale con lo smartphone attaccato al lungo, comodamente seduti sulla panca dell’altana in mezzo ai mughi, e l’altro cavernoso e da anziano, che è rimasto nel folto e non si concede ai nostri occhi. Anche perchè ce ne andiamo poco dopo aver sentito i primi bramiti: la caccia al cervo maschio è chiusa per rispetto al tempo della riproduzione e il nostro obiettivo di giornata, ovvero il nostro piano di abbattimento, consiste in un capriolo di un anno, per la precisione un maschio con stanghe singole da circa 10 centimetri. Culinariamente parlando, comunque, il nostro obiettivo è una delizia, e questo è ciò che ci interessa.
Il lungo è probabilmente il miglior lungo oggi esistente al mondo, il Leica Apo Televid 82, che ovviamente incenso in quanto sono quello che lo distribuisce in Italia, ma che da cacciatore e appassionato di natura e di ottica apprezzo per il fatto che, non dandomi il peso di tirar fuori i tremila e rotti euro necessari all’acquisto (ce l’ho gioiosamente in comodato da Leica), si limita a regalarmi contrasti e luminosità di immagini scolpite, per me impossibili a quel livello ai pur ottimi strumenti di tutte le altre marche e colori esistenti sul mercato, che dopo 15 anni a fare questo mestiere conosco piuttosto bene. In effetti, fotografare con uno smartphone di pur ottima qualità (il Samsung Galaxy S6) un cervo in un momento in cui non c’è il sole ad aiutare il lavoro dell’obiettivo, a 450 metri di distanza, ed ottenere il livello di qualità che si vede qui nella foto è cosa semplicemente straordinaria, tanto che nessun purista della reflex me ne voglia se affermo con scientifica certezza che in quelle circostanze non potrei ottenere di meglio con un corpo reflex da 5000 euro. Lenti a parte, mi aiuta molto nella difficilissima azione di focheggiare con il lungo sia l’automatismo dello smartphone che la eccellente doppia ghiera di messa a fuoco del mio Televid.
Il limite della notte è in realtà lo spunto tecnico di questo articolo, che ha come tema la meraviglia di cacciare il capriolo da neopapà accompagnato dal papà in mezzo ai mughi della mia montagna in una perfetta serata di fine settembre. Dalla malga il sentiero che va verso il confine con la riserva vicina è pianeggiante e attraversa due grandi valloni a circa 1800 metri di altitudine; sotto il sentiero abeti, sopra quasi soltanto mughi, e più in alto solo erba e rocce. La festa della giornata è completata pure dall’avvistamento, in basso e dopo dieci minuti di cammino, di un nutrito branco di camosci, che non cacciamo per l’assenza del necessario esperto accompagnatore, ma ci godiamo pensando a quanto ricco è diventato il nostro monte. Le orme confuse e indistinguibili sul sentiero tradiscono la presenza di un vero gregge, i cacciatori di Smarano e Sfruz -la riserva di cui faccio parte- parlano concordi di un branco intorno alle 90 unità. Per un monte alto 2100 metri e senza altre vette intorno è un numero eccezionale.
Cercando il capriolo raggiungiamo rapidamente, in un’oretta di cammino, la seconda vallata, in fondo alla quale colleghi capaci hanno costruito -tra gli altri- un appostamento cento metri sopra il sentiero che domina tutta la costa di fronte, teatro di tanti avvistamenti e abbattimenti di caprioli che è impossibile ricordarli tutti.
Qui l’idea era di sperare di incontrare il nostro spitzer, e a mezz’ora dal buio l’obiettivo ci richiama all’ordine dalle distrazioni delle sirene dei cervi in bramito che avevano catturato la nostra attenzione, e la cui presenza -si sa- difficilmente è compatibile con l’affacciarsi di un capriolo.
Nella mezz’ora successiva sperimento -chi non mi crede per questioni di bottega (mia) ne ha ovviamente diritto- che i miei Leica vanno oltre il limite crepuscolare che nella mia esperienza avrei concesso al lungo e al cannocchiale da puntamento.
Ormai sta venendo buio e camminiamo rapidi sul sentiero, a metà della costa che guarda quella sopra la malga, la più interessante per la buona presenza di piccole macchie di pascolo in mezzo all’intrico dei pini mughi.
E’ l’ultima possibilità e di fronte a noi con il Geovid 8×56 HD-B -che solo senza averlo provato si può definire giustamente assurdamente pesante (con il suo chilo e duecento) per la caccia in montagna, e dopo averlo provato lo si porterebbe al collo anche in cima all’Everest- c’è un capriolo immobile, 15 gradi di angolo più in alto, a una distanza vicino al limite consentito per il tiro al capriolo. Non una distanza pazzesca, e comunque non sono qui a vantarmi della mia notoriamente questionabile capacità di tiratore. Giuro che ho tirato fuori l’Apo Televid 82 quasi per ridere. A 25x vedo perfettamente, a circa 40x riesco a identificare con mia somma e gioiosa incredulità sia il pennello che le due sottili punte alte ben sotto le orecchie. Ormai è davvero scuro. Per mia grande fortuna lo zaino messo in piedi sul lato più lungo mi consente di poggiare il mio storico K95 in 270 winchester magnum (grazie al giovane ma già splendidamente capace armaiolo Nicola Zentile per averlo restituito alla perfezione balistica!) in modo da cadere quasi perfettamente inclinato all’altezza del capriolo, che intanto generosamente se ne rimane imbalsamato nel suo già folto pelo invernale. Il Geovid con nella pancia la scheda con i dati della mia palla e dell’altitudine di azzeramento dell’arma sentenzia la distanza e subito dopo il numero di clic per quell’altro prodigio di luce del mio Magnus 2.4-16×56. Padronissimi di non credermi, ma in condizioni di luce assurde do 8 clic alla torretta balistica e riesco a mettere la croce in modo accettabile sulla spalla del capriolo a 16 ingrandimenti! Non credevo possibile che un cannocchiale potesse rouscire a lavorare a quell’ingrandimento, a quella distanza, e con così poca luce.
Il tiro, per grazia divina certamente, spacca il cuore, ma l’animale riesce a risalire una decina di metri e a sparire dietro a un mugo, apparentemente senza affanno. Solo mio padre ha visto la scena col suo Geovid 8×56 HD-R, perdendo però l’attimo immediatamente successivo al tiro, e rimanendo quindi con il fondatissimo dubbio, da me condiviso, della padella. Grazie a entrambi della fiducia..
Tanto è dubbioso, da dirmi risoluto che non ha alcuna intenzione di recarsi sull’anschuss, sfidando la giungla dei mughi, la mattina seguente. Non gradisco, ma tra me e me gli do ragione.
Ho fatto un tiro poco etico, ad un’orario da stupido. Ma chi è senza peccato scagli la prima pietra, chi predica bene e razzola sempre bene anche! Signor giudice, mi appello anche alle attenuanti generiche della prima caccia dell’anno e della consapevolezza che chissà quando mi sarebbe capitato ancora… Critiche meritate a parte, andare sull’anschuss è cosa da fare anche nella quasi certezza che il drammatico confronto notturno con la selva impenetrabile non appesantirà il mio zaino con l’ambito manicaretto. Un giretto in mezzo ai mughi, fuori dal sentiero, è cosa che ogni cacciatore di montagna conosce come esperienza resinosa, foriera di innumerevoli incespicamenti nei rami che si pongono ad ogni altezza, soprattutto esperienza di disorientamento continuo, persi come ci si trova in qualcosa che annulla i punti di riferimento. Pila alla mano, e onestamente per la prima volta di notte tra i mughi, per i primi dieci minuti mi aiuta ancora l’ultima luce del crepuscolo. Trovare l’anschuss da una valle all’altra, quando si è all’incirca sul posto, è difficilissimo, soprattutto tra i mughi. Per fortuna una roccetta bianca mi permette di posizionare il mio, di anschuss (per i non germanofili si traduce con punto di impatto), che per fortuna trovo in meno di mezz’ora. Il capriolo è dove l’aveva visto sparire mio padre, e in barba alla maturità che dovrei avere a 3 mesi scarsi dai 45 anni squarcio la notte con un urlo liberatore cui tu cacciatore che mi leggi darai il significato che vorrai, sono certo comunque bellissimo.
Spitzerino come da piano, ineccepibile (non so se a te capita mai di avere un po’ di batticuore prima di trovare il capo abbattuto, in merito alla rispondenza del capo a quello che ti pareva di aver visto nella croce del reticolo. A me sì, qualche volta). Il ritorno circa un chilometro, di cui i primi 300 metri nella giungla, con 20 chili in più nello zaino richiede oltre un’ora, in compagnia delle stelle. Che sudata, che fatica, che decine di aghi di mughi a trovar posto ovunque addosso a me. Che bello.
Il papà in quanto tale non poteva dare ufficialmente troppa soddisfazione, ho fatto un tiro difficile, che in una discussione tra cacciatori al bar sarebbe definito fantastico. Sono assolutamente sicuro che sia stato contento. Alla malga i miei colleghi cacciatori hanno arredato, benissimo, una stanza che il comune ci ha dato in uso. Dentro ci trovo il teroldego imbottigliato dall’amico Riccardo, cacciatore della riserva confinante, che tra l’altro ha sentito la fucilata e aspettava fuori dalla malga per farci sopra due chiacchiere. Il Riccardo è colui che due anni fa ho tirato giù dal divano a tarda sera per aiutarmi con un cervo da oltre 200 chili, è un amico, e il suo teroldego, detto da un appassionato di vino piuttosto rompipalle, è un grande teroldego; pare che nella sua famiglia ci sia un enologo di quelli in gamba.
Lo so che ho fatto una marchetta alle ottiche Leica, ma spero non me ne vorrai. Ho scritto la storia di un pomeriggio di caccia meraviglioso, e la marchetta quelle ottiche se la sono meritata sul campo.
Ti auguro tante giornate così, caro collega cacciatore. Weidmannsheil!